Echi letterari

A diciott’anni volevo essere un poeta, uno scrittore, uno che con le parole combatte le guerre e affronta lo squilibrio del mondo. Volevo che gli altri mi ascoltassero perché io ascoltavo loro. Cercavo la mia storia, e la cercavo nelle parole di chi il dolore dei diciott’anni lo aveva già conosciuto e reso arte. A diciott’anni avevo paura di non arrivare perché non sapevo da dove dover partire. Temevo i compleanni perché questi mi avvicinavano alle scelte, allo “sbilico” (per usare il neologismo di Alcide Pierantozzi), al dolore di essere giovani. Ma a diciott’anni, forse, non era necessario porsi tutte queste domande.

Peter Cameron, all’interno del suo romanzo Un giorno questo dolore ti sarà utile, racconta di questo sentimento, della fragilità di essere giovani ed essere costretti a cercare il futuro prima che fugga via.

Lo fa con gli occhi di James che a diciott’anni, conclusi gli studi liceali, non vuole frequentare l’università.
Il suo sogno? Comprare una casa nel Midwest, andare a trovare la nonna nel tempo libero, non inseguire le scelte.

Il dolore di James è quello de Il giovane Holden di Salinger, lo stesso di una generazione di donne e uomini che lo sgomento della vita imparano a conoscerlo in giovane età.

È il dolore di una generazione disillusa, precaria, in cerca di una stabilità lavorativa che non lascia tempo agli equilibri delle emozioni. Nella gara a cui gli altri ci costringono a partecipare, James ha il coraggio di fermarsi, di proseguire i propri studi con la consapevolezza che a diciott’anni si può essere normali senza sapere chi essere, cosa voler essere.

Ho incontrato Peter Cameron alla XV edizione del Taobuk, Taormina International Book Festival 2025, e gli ho chiesto di James e del suo dolore, dei suoi romanzi e del ruolo della letteratura nella sua vita e in quella degli uomini tutti.

Mi piacerebbe iniziare il nostro discorso partendo dalla letteratura e dagli uomini. Che cosa lega l’essere umano al bisogno di scrivere? E che cosa la letteratura può farci scoprire di noi?

Penso che la letteratura possa fare qualcosa che le altre forme d’arte non possono fare. Cioè scavare profondamente dentro noi stessi e dentro le altre persone. L’esperienza di scrittura ci permette di pensare a noi stessi e l’esperienza di lettura ci consente di pensare profondamente alle altre persone. C’è una strada, allora, che ci aiuta a unire le persone, a rendere le persone più empatiche, a capirsi l’un l’altra. Ciò perché quando leggiamo e scriviamo condividiamo le parti più private e intime di noi stessi.

I tuoi personaggi raccontano il presente e raccontano il passato. In loro c’è l’amore della gioventù e la paura di chi la propria vita la trova solo nel ricordo. Le emozioni di queste donne e di questi uomini, le loro fragilità, ti appartengono

Sì, credo che siano molto vicine a me, anche se in maniera più moderata. Sono io chi scrive i libri, tutto viene da me e, quindi, anche se non scrivo mai della mia vita, in maniera autobiografica, penso di scrivere delle mie emozioni e delle mie sensazioni. Sposto le emozioni e le sensazioni sui personaggi che creo. La cosa bella di scrivere un libro che ha molti personaggi è che puoi esprimere molti volti diversi di te stesso, spesso anche contradditori perché puoi avere personaggi che entrano in conflitto.

E qual è la difficoltà quando succede questo?

La difficoltà sta nella paura che le persone che leggono i miei libri mi percepiscano per quello che i personaggi fanno e dicono. Molti dei personaggi esprimono cose che non credo, che non sento, che non penso, ma il lettore non lo sa e non può distinguere tra ciò che viene direttamente da me e ciò che sto scrivendo per il libro. 

Nel finale di “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, il protagonista, James prende consapevolezza che i suoi dubbi, le incertezze che lo allontanano dall’università e lo portano a sognare il Midwest, sono quelle di un ragazzo di soli diciotto anni che ha paura del futuro. Come cambia questa percezione crescendo?

Mi è piaciuto scrivere questo libro perché penso che avere diciotto anni rappresenti un momento molto importante nella vita di qualcuno. È il momento in cui si passa dall’essere bambini all’essere adulti. Dunque penso che le decisioni che si prendono a quell’età possono essere molto spaventose perché potrebbero avere ripercussioni per tutta la tua vita. James è un po’ bloccato perché non sa cosa vuole fare nella sua vita, non sa andare avanti. E come in quel momento per lui, anche oggi il futuro è molto spaventoso. Il libro è stato scritto nel 2003, dopo l’undici settembre, e quella precarietà che c’era in quegli anni la sento anche per il mondo di oggi. Il futuro è molto spaventoso. Immagino che sia difficile per un giovane attraversare quel futuro e lo capisco, perché le persone sono spaventate e non sono in grado di compiere decisioni.

Il tuo ultimo libro, “Che cosa fa la gente tutto il giorno?”, è una raccolta di racconti di vita ordinaria, di quotidianità nascosta. Nella banalità di ogni giorno, dove tutto sembra uguale e ripetitivo, Carver racconta la vita di sempre e la scopre piena di ferite. Questo è quello che accade con i tuoi racconti, con le tue parole. Come si racconta l’ordinario e lo si rende straordinario?

Non sono sorpreso che parli di Carver perché Raymond Carver era molto popolare. Quando stavo scrivendo queste storie, iniziate nel 1980, era probabilmente il più conosciuto e più importante scrittore di racconti brevi negli Stati Uniti. Ammiro molto il suo lavoro, quindi penso di essere stato molto influenzato da lui. Una cosa che mi piace del suo lavoro è che ha raccontato di persone che sembrano ordinarie, ma credo che nessuno lo sia veramente. Se chiedi a qualcuno se sente di vivere una vita ordinaria tutti rispondono di essere molto speciali. Ciò che puoi fare come scrittore è dimostrare che tutti hanno una vita ricca e originale, eppure a volte non ne sono consapevoli.

È la bellezza della vita di ogni giorno.

Sì, esattamente! E penso che sia una cosa che puoi esplorare nella finzione perché lì c’è quella vita speciale che abbiamo tutti.

Una domanda sulle emozioni. Che cosa era per te la felicità da bambino e che cosa rappresenta per te oggi?

Questa è una domanda difficile. Sai, non saprei dirtelo. Mi piacerebbe rispondere, ma non penso di potere, perché penso che la felicità sia l’assenza di altri sentimenti. Quando ti senti spaventato o solo sei molto consapevole di avvertire queste emozioni. Quando ripenso al passato comprendo che ero felice quando tutto andava bene e non ero preoccupato di niente. Non sentivo di aver fatto qualcosa di male. Potrei dire che per me la felicità sia essere contenti della propria vita. Non è una questione di essere felici. Mi piacerebbe di più sentire che tutto va bene e che sto bene con me stesso e con il mondo. E questo penso significhi essere felici.

Chi è Peter Cameron

Peter Cameron, scrittore statunitense (Pompton Plains, New Jersey, 1959), si è laureato nel 1982 in Letteratura inglese presso l’Hamilton College di New York. Ha esordito nella scrittura nel 1986 con la raccolta di racconti In un modo o nell’altro (trad. it. 1987).
Il romanzo Quella sera dorata, (2002, trad. it. Adelphi 2006) e il successivo Un giorno questo dolore ti sarà utile (Adelphi 2007) hanno riscontrato grande accoglienza dalla critica italiana ed estera. Le due storie sono state, inoltre, raccontate dalle pellicole di James Ivory nel 2009 e da Roberto Faenza nel 2011.
La sua ultima opera pubblicata in Italia è Che cosa fa la gente tutto il giorno? (Adelphi, 2023), e riunisce i racconti pubblicati in rivista tra il 1984 e il 2014.
I suoi libri sono tradotti in 17 Paesi. È writer in residence presso la Rice University di Houston, in Texas. 

Josè Ruggeri, Allievo SSC UniCT

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