Echi letterari
Si può scappare via dal proprio Paese? Dalle proprie origini, dallo stesso luogo che ci dona la vita e ci causa ferite? Il timore di crescere, i nostri interrogativi, la ribellione di chi sa che sognare è giusto. Si può sentire di essere sbagliati perché diversi?

Su queste domande Mario Desiati si ferma e interroga sé stesso e il lettore. Ci parla di età e di esperienze, di errori che si schivano e si ripetono perché umani. I protagonisti delle sue storie possono essere gli Spatriati, coloro che si sono persi nel mondo perché il mondo forse non li ha mai cercati. Oppure i nostri avi, i padri, le madri, la costellazione familiare tutta che chiede di essere conosciuta. Il velo della Storia viene strappato e si indagano le verità, quelle scomode che costruiscono il presente e lo rendono precario. Per guarire il proprio Malbianco, la propria malattia, serve tornare alle radici, serve che Il Paese da cui si sceglie di fuggire possa essere chiamato casa.
Ho incontrato Mario Desiati all’undicesima edizione del Festival Armonia di Presicce – Acquarica, di cui è direttore artistico. Mi ha raccontato dei suoi romanzi, di Claudia e Francesco e del loro essere spatriati, del malbianco di Marco che a quarant’anni è costretto a tornare da Berlino nel proprio Paese di origine, delle fragilità di essere nominati grandi e sapersi piccoli nelle proprie ferite.
In Spatriati (Einaudi, Vincitore Premio Strega 2022) racconti la storia di Claudia e Francesco, non solo del loro voler fuggire via, ma del desiderio di essere vagabondi della vita, del voler essere spatriati di una realtà che non sempre gli appartiene. Esiste un’età in cui si crede di non poter essere più spatriati e si smette di sognare? Se sì, quell’età come è possibile evitarla?
È una domanda molto, molto complessa sulle nostre età. Credo che in ogni persona ci sia un tempo per fare alcune esperienze. Non sono uno che dice che a vent’anni o a trenta devi aver fatto una cosa rispetto a un’altra. Ancor di più quando si parla di letteratura e di dover leggere determinati libri. Mi sento di poter dire che è il viaggio della letteratura quello che noi possiamo fare anche dentro la nostra stanza. Una stanza fisica che ci mette in contatto con una stanza interiore. Per poterla definire abbiamo bisogno di esperienze: viaggi fisici ma anche viaggi metaforici. Serve immaginazione, una caratteristica attraverso la quale si può scoprire qualcosa degli altri partendo da sé.
Un elemento che mi colpisce di Spatriati si ritrova nel capitolo conclusivo del libro. Lo intitoli Amore, intendolo metaforicamente come sapore. Questo amore, infatti, non è altro che l’apice del raggiungimento di un traguardo. È il sapore di un frutto che ha smesso di maturare ed è caduto dall’albero. In questa corsa ai traguradi, nella caduta del frutto, dobbiamo considerare più importanti le partenze o gli arrivi?
Credo che sia importante a un certo punto cambiare stato. Mi aiuta passare dallo stato nel quale si è – per quanto spesso possa sembrare statico e favorevole – a un altro. Sul punto di arrivo mi chiedo Che punto di arrivo? C’è una frase che mi ha sempre colpito che dice che la vera conclusione del viaggio non è il punto di arrivo ma il punto di ritorno. Di ritorno da un viaggio hai cambiato sguardo. Non hai più lo stesso con cui sei partito perché hai dentro una nuova esperienza, e credo che l’esperienza personale sia sacra. L’importante è conoscerla e compierla.


Parliamo un po’ di Malbianco (Einaudi 2025). Anche qui giochi con le metafore e racconti la storia di un uomo che ritorna nel proprio Paese di origine a causa di un malessere fisico. Il Malbianco è un contorno, è la malattia che colpisce le foglie degli alberi e le rende bianche. È una sorta di retina opaca che vuole essere tolta ma che non si riesce a strappare via. Quest’uomo, tornando, scopre la storia dei suoi avi, dai frammenti dei nonni a quelli della bisnonna. Da sfondo c’è la guerra, che è lotta con il passato e conflitto con la propria storia, con le radici. La storia dei nostri avi in quale misura ci appartiene e in quale misura puù salvarci?
La storia di chi ci ha preceduto è sempre molto importante perché ci permette di conoscere il passato e lavorare sul futuro. Senza passato non ci può essere futuro. Questo aspetto così scontato, in realtà, nel corso della vita ti aiuta a porti delle domande. Quando sei più giovane magari non ci pensi a chi è venuto prima. Tante domande ho cominciato a farmele quando alcune cose si sono iniziate a rompere: le perdite, i fallimenti, le sconfitte. A un certo punto inizi a capire e ti domandi come si sono comportate le persone con cui sei cresciuto. È il discorso per cui oggi parliamo di Storia con la s maiuscola. Studiamo la storia non soltanto per ragioni di erudizione, ma per sopravvivere. Guardare davanti anche con una strategia diversa ci aiuta, e con la conoscenza di alcune dinamiche si può vivere meglio. Direbbe un grande neuroscienziato (Freud) che Il corpo usa il corpo . Il corpo parla non soltanto di quello che viviamo, ma anche della vita degli altri e dei traumi che abbiamo vissuto.
Nel tuo percorso da scrittore e nel tuo studio della scrittura muoversi dalla poesia alla narrativa che passaggi ha implicato? Cosa significa per te leggere la poesia e cosa può raccontare la poesia che la narrativa non riesce a dirci?
Sono un lettore di poesia. Da giovane ho avuto l’incidente di scriverla, ma ero un pessimo poeta. Però come lettore trovo nella poesia un saper restare in cui a volte la prosa non riesce ad arrivare. Il poeta ti suggerisce con la sua maestria di tenere insieme il vuoto. Si può pensare alla poesia classica e al topos della vista. Cavalcanti descrive questo momento, in cui la vista inizia a traballare, usando la figura dell’inversione, che fa arrivare come una lama questa straordinaria immagine.
Oltre ad essere scrittore e giornalista sei anche il direttore artistico del Festival Armonia, che riunisce ogni anno in queste terre i dodici semifinalisti del premio Strega. Ciò che mi colplisce è che nella dozzina di questa edizione sono presenti molti temi che ritornano. Il tema della genitorialità, della maternità, della paternità, della conflittualità e della poesia sono i principali che si rincorrono. Perché la nostra generazione, e forse tutte le generazioni, hanno bisogno di conoscere questi temi e di guardarli con uno sguardo nuovo, sempre diverso?
È la letteratura. Significa esseri umani. In realtà è interessante giocare con i titoli usciti in un anno. Sicuramente i protagonisti delle storie sono sempre i conflitti che si creano tra i vari personaggi. Quest’anno sono davvero dodici bellissimi libri, alcuni – come quello di Saba Anglana, di Nadia Terranova o di Andrea Bajani – entrano in consonanza con il libro che ho scritto quest’anno. Ci sono inoltre libri con cui mi sento affine, anche di giovanissimi scrittori, e ci sono libri che incontrano una grande valenza generazionale di temi. È un po’ la fotografia della letteratura italiana, anche se in realtà lo stile è sempre stato così. È sempre stato una fucina della nostra narrativa. E anche noi qui siamo una tappa da tanti anni che ci proponiamo di far conoscere ai nuovi lettori che cosa succede in Italia al romanzo e che cosa succede a noi tutti.
Hai vinto lo Strega nel 2022 con Spatriati e da lì hai avuto un successo mediatico che ti ha portato nelle case di tanti giovani lettrici e lettori. Dopo la vittoria ti sei mai sentito piccolo? Hai mai sentito di essere fragile?
Sempre. Infatti nei mesi successivi alla vittoria mi sono tirato indietro e mi sono dedicato alla riscrittura di Malbianco.
Chi è Mario Desiati
Mario Desiati è originario di Martina Franca. Ha pubblicato, tra gli altri: Vita precaria e amore eterno (Mondadori 2006, Einaudi 2023), Ternitti (Mondadori 2011, Einaudi 2023), Il libro dell’amore proibito (Mondadori 2013), Mare di zucchero (Mondadori 2014). Per Einaudi ha pubblicato Candore (2016 e 2021), Spatriati (2021 e 2024, Premio Strega 2022), Malbianco (2025, Premio Pegaso d’oro) e La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia (2025).


Josè Ruggeri, Allievo SSC UniCT
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