Echi letterari

Foto credit: Michele Ruol

Come si sopravvive al dolore? La famiglia in cui cresciamo, gli occhi dei nostri genitori, quale parte della nostra vita si illudono di conoscere? A quale porzione di storia consentiamo loro di accedere senza disturbare?

Michele Ruol, nel suo “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”, ci parla di uomini e donne senza nome, di esseri umani che bastano a sé in quanto tali. La sua è la storia di Madre e Padre, di Maggiore e Minore. Degli oggetti che esistono e narrano di loro perché la voce che dovrebbe appartenergli è diventata silenzio, urlo, scoppio. Loro, che vivono la felicità della consuetudine familiare, si fermano perché un auto impatta contro un pioppo, la foresta brucia, Maggiore e Minore diventano assenze e ricordo.

La storia di Ruol colpisce senza preavviso, senza violenza. Lo fa con la vita ordinaria che ci chiede di correre e mai di sbagliare. Ci conduce sulla vetta del mondo e ci chiede di volare senza dirci, che anche dove tutto è bello, si può cadere.

Ho conosciuto Michele Ruol al Festival Armonia a Presicce – Acquarica, che ha visto riuniti dal 22 al 25 maggio i dodici semifinalisti della 79esima edizione del Premio Strega, e ho chiesto lui del suo Inventario, dei suoi personaggi, di un dolore che lascia cicatrici e non trova perdono alla vita che va avanti senza voltarsi indietro, senza medicine alla vita stessa.

Il tuo “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” ci parla delle perdite e delle assenze, dei rifugi in cui in cui i ricordi si fanno strumenti per sopravvivere al dolore. Tu dai vita, torni alle emozioni, con semplici oggetti: una scatola in cartone, uno stradario, una scopa. Tutto ciò che la vita costruisce artificialmente. Gli oggetti che raccontano la vita di Maggiore e Minore li aiutano a sopravvivere o gli consentono di vivere per la prima volta?

In quanto inanimati, gli oggetti sono destinati a restare oltre la fine di una storia: sono fatti per sopravvivere alla morte, alle partenze, agli addii, alle occasioni perse. Alle cose restano attaccati ricordi, frammenti di vita, emozioni, che danno loro un valore sentimentale tanto più prezioso quanto inaccessibile dall’esterno. Hanno, gli oggetti, il potere di riportarci in altri luoghi e in altri tempi, accedendo direttamente alla nostra memoria, e questa è la loro maledizione e la loro magia, perché permette di causare dolore e lenirlo insieme. In questo senso gli oggetti appartenuti a Maggiore e Minore sono per i loro genitori contemporaneamente salvezza e ferita aperta, perché attraverso di essi la loro anima sopravvive e continua a fremere. Questi oggetti hanno il potere di aiutare a sopravvivere anche Madre e Padre, alleggerendo il peso dell’assenza; d’altra parte, riconnettendoli a frammenti della vita dei figli che loro ignoravano, li costringono al dolore di rivivere – o a vivere per la prima volta – istanti drammatici, che il tempo non potrà mai diluire.

La figura di Padre è quella di un uomo che nasce e cresce nelle strutture sociali che la società costruisce per lui. Padre è una personalità rigorosa, dedita al lavoro e partecipe solo nelle frazioni più liete della vita dei figli. Madre urla, piange, si mostra umana perché piena di ferite. La sua realtà come accade ne “L’Anniversario” di A. Bajani, è quella di una donna che esiste nello spazio ristretto costruito dal marito. La scomparsa di Maggiore e Minore come li aiuta a cercarsi nei gesti e nelle parole? Come li aiuta a ritrovarsi?

Padre e Madre sono due personaggi incastrati nei propri nomi, o meglio nei ruoli che li identificano. Entrambi, pur in modo diverso, hanno assorbito dalle famiglie di provenienza, e dalla società che li circonda, un modo di essere genitori, coniugi, uomo e donna, e a quegli schemi culturali continuano a rifarsi, loro malgrado. Il lutto determina nelle loro vite un terreno bruciato che toglie senso a tutto, compresi i ruoli in cui si erano rifugiati fino a quel momento. In questo nuovo spazio, vuoto e disabitato, tutto va ricostruito da capo, a partire dal loro rapporto. C’erano domande che fino ad allora nessuno dei due aveva osato o era stato in grado di farsi, soffocandole nella routine, e che ora affiorano nitide nel silenzio della cenere.

All’inizio del romanzo citi un passo de “La realtà esige” di Wislawa Szymborska che ci riporta a una frase che è portavoce del dolore di Madre. “Ci sono cose che non si cureranno mai, pensava lavandosi le mani sporche di terriccio – tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare”. Come si rinasce dal dolore quando si ha paura di attendere?

Non ho una risposta per una domanda così difficile. Più in generale, non credo che ne esistano, o quanto meno non credo esistano risposte univoche, semplici, universali. Quello che provo a raccontare in questo romanzo è proprio come lo stesso dolore, la stessa tragedia, abbia effetti completamente diversi su due persone, Madre e Padre, perché per quanto vicini si possa essere, ognuno di noi ha un vissuto, strumenti emotivi e risorse psicologiche diverse, che ci portano a compiere percorsi inediti. Il dolore è un buco nero che ci inghiotte e finisce per occupare la nostra vita, le nostre parole, le nostre relazioni. È questo il punto più subdolo: che nel dolore, in quello più devastante, ci troviamo soli, incapaci di comunicare anche con le persone che amiamo, e destinati spesso a non essere capiti.

La natura è una protagonista silenziosa nel romanzo. Brucia quando tutto è sofferenza e ricresce dove la vita c’è ma si nasconde. Qual è il suo posto in questa storia?

Parallelamente alla storia di Madre, Padre, Maggiore e Minore, scorre anche la storia della loro casa. Si tratta di un appartamento abbandonato, che paradossalmente, stanza dopo stanza si ripopola: muschio, giunchi, baniani. Ma c’è anche il bosco che prende fuoco sui colli che cingono la città, e il bosco che con le sue nuove specie arboree prenderà vita sul terreno bruciato. In questi termini la natura è effettivamente un personaggio comprimario, capace di accompagnare le vicende dei due genitori: è energia vitale, vita che pulsa e che non si può fermare, è dolore e bellezza, devastazione e rinascita, incendio e germoglio.

Parliamo di te. Il dolore dei tuoi personaggi si lega alla tua professione di medico e alle storie dei tuoi pazienti? Il dolore che ti ha cambiato, quello che ti ha incrinato e aggiustato, qual è stato?

Quella che racconto è una storia di fiction, ma c’è sicuramente una connessione tra romanzo e professione medica: non in termini di vicende narrate, ma di domande lasciate aperte e che spingono alla ricerca di un senso. Pur avendo una formazione scientifica e un approccio razionale alla vita, credo che la medicina abbia dei limiti, soprattutto nel momento in cui ci si comincia a interrogare sul significato della morte e del dolore. Quello che capita – a me, come a tanti colleghi – è di portarsi dietro, nella vita privata, domande senza risposta. In questo credo che l’arte possa essere complementare alla medicina – o quanto meno, così è per me la letteratura: uno strumento prezioso per tentare di capire l’animo umano, per porsi domande e per vedere scintillare per un istante qualcosa di prezioso e inafferrabile come un frammento di risposta.

Chi è Michele Ruol

Michele Ruol è medico anestesista e autore teatrale e narrativo. Collabora con la compagnia Amor Vacui, con cui ha curato la drammaturgia di diversi spettacoli segnalati nei principali premi nazionali di teatro contemporaneo (Intimità, Premio Scenario 2017; Lea R., vincitore del Premio Hystrio Scritture di Scena 2018). I suoi testi sono stati prodotti, tra gli altri, dal Piccolo Teatro di Milano (Betulla, 2021) e dal Teatro Stabile del Veneto (Il solito ignoto, 2015). Ha pubblicato racconti su riviste come Inutile ed Effe – Periodico di Altre Narratività, e in antologie per Marsilio, Galaad, Sartorio. Il suo esordio nella narrativa è Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa, 2024), vincitore del Premio Berto e del Premio Megamark, candidato alla cinquinda del premio Strega 2025.

Foto credit: Michele Ruol

Josè Ruggeri, Allievo SSC UniCT

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