Itinerari del sapere

Bosnia ed Erzegovina: una vicina di casa misteriosa, giusto qualche casa dopo la nostra, non troppo lontana da renderla una completa sconosciuta, non troppo vicina perché possa essere considerata un’amica intima. È così che prima di partire avrei descritto questo Paese, di cui già il nome sembra porsi distante da ciò che siamo abituati a sentire.

Avrei voluto non parlare di guerra, di morte, di stupri, di saccheggi, di esili, di assedi, ma non si può raccontare un viaggio se non si racconta la storia del luogo di cui si è stati ospiti e non si può scrivere di rinascita, di ricrescita e di futuro se non si acquisisce la consapevolezza di ciò che è stato.

Occasione del viaggio, lo scorso luglio, il Laboratorio Balcanico in Bosnia-Erzegovina, Il Novecento tra storia, memorie, rappresentazioni: un progetto, un’iniziativa formativa, un’opportunità unica e insostituibile organizzata e realizzata dalla Scuola di Studi Superiori Giacomo Leopardi –  Università di Macerata e aperta alle Scuole della rete ASSI, l’Alleanza delle Scuole Superiori Universitarie o di Ateneo, un tavolo di coordinamento delle scuole superiori universitarie d’eccellenza che condividono un percorso comune di studi e  perfezionamento.

46 ragazze e ragazzi provenienti da tutte le Scuole Superiori d’Italia hanno aderito all’iniziativa. 

Un gruppo eterogeneo di giovani brillanti e curiosi: tra studenti già preparati sul tema ed altri che partivano semplicemente con un profondo desiderio di conoscere una realtà diversa dalla propria.  Ad accomunarli gli stessi sentimenti di rispetto e voglia di immaginare un futuro per un luogo con una storia, sì recente, ma non abbastanza da essere ricordata da noi giovanissimi studenti italiani. 

Ad accompagnarci da nord a sud, da est a ovest, un grande pullman che si è fatto teatro di profonde conversazioni e di grandi insegnamenti; alla guida Domenico, l’autista gentile e professionale, che ci ha trasportati attraverso i meravigliosi paesaggi montuosi e boschivi che caratterizzano la Bosnia-Erzegovina; alla guida del viaggio, invece, tre grandi donne: Carla Danani professoressa all’Università di Macerata e Presidente della Scuola Superiore Giacomo Leopardi, Roberta Bigiarelli artista, attrice, podcaster e grande esperta dell’area Balcanica e Azra Nuhefendić  giornalista, scrittrice ma soprattutto testimone vivente della storia della Jugoslavia prima, della guerra nei Balcani dopo e del delicato equilibrio tra i sei Stati, un tempo fratelli, oggi. 

Quattro città: Bihac, Sarajevo, Srebrenica, Mostar;
Tre etnoreligioni: i bosniaci musulmani (“bosniacchi”), i bosniaci cristiani cattolici (“croati”), i bosniaci cristiani ortodossi (“serbi”)  
Due entità territoriali: Federazione di Bosnia ed Erzegovina, Repubblica Srpska.

Il nostro viaggio ha attraversato in lungo e il largo il territorio bosniaco e le tre religioni ed etnie che lo popolano. C’è una parola che, con tutte le sue intrinseche contraddizioni, può essere utilizzata per raccontare di questo luogo: multiculturalismo. 

È stata un’emozione essere svegliati al mattino dai canti dei Muezzin che dalle moschee richiamano i propri fedeli alla preghiera e poco dopo dal suono delle campane delle chiese cristiane, assaggiare i ćevapčićii, piatto a base di carne tipico dei Balcani e bere il caffè turco, che racconta di condivisione e di familiarità.
Monumenti e cibo sono espressione materiale delle culture che abitano e che attraversano la Bosnia ed Erzegovina, ma le testimonianze orali ci hanno trasmesso più di tutto la difficile ed eterogenea convivenza del popolo Bosniaco, un popolo da ammirare per la sua capacità di raccogliere esigenze ed istanze differenti, non priva di scontri e di inimicizie. 

Tra i momenti più emozionanti l’incontro con Kanita Fociak, donna simbolo di Sarajevo, sopravvissuta all’assedio della sua città e all’assassinio del marito per mano dei cecchini Serbi, nella sala centrale della biblioteca (un tempo municipio) della capitale. Kanita, con la dolcezza e l’esperienza di una donna matura e consapevole, ha narrato la storia degli imperi che hanno conquistato la Bosnia, prima quello Ottomano, poi quello Austro-Ungarico. 

Ci ha descritto la prosperità della Federazione Jugoslava, blocco socialista che univa i “Balcani del Sud” e che era capace di far fronte alla pressione dei vicini Paesi capitalisti e degli affini Stati sovietici.

Infine, con gli occhi lucidi, ci ha raccontato della sua famiglia, del marito ucciso davanti al portone di casa, dei figli piccolissimi cresciuti solo con lei, dei cecchini, della fame, delle “rose di Sarajevo” lascito delle granate sulle strade della città, dei fori dei proiettili ancora presenti sulle mura degli edifici di periferia, che parlano di morte.

Lo ha fatto in un luogo simbolico (bruciato nel ‘92 durante l’assedio di Sarajevo), con la testa alta, il tono rispettoso e sopra ogni cosa con lo sguardo rivolto al futuro, ai giovani e alla riconciliazione.

Un altro comune denominatore ha unito ogni tappa del nostro percorso: l’associazionismo. Abbiamo riscoperto il potere della condivisione e della cura. Abbiamo imparato che a volte si può dare senza chiedere nulla in cambio. 

Silvia Maraone ci ha guidati alla scoperta dell’ennesima sfaccettatura della Bosnia-Erzegovina, crocevia e luogo di passaggio per i migranti che dai Paesi del medio oriente affrontano “il viaggio” per cercare una vita migliore, anche a costo di perdere la propria. Silvia insieme all’ associazione IPSIA lavora a Bihac, per prendersi cura e tutelare i rifugiati e i richiedenti asilo lungo la rotta Balcanica.

Abbiamo riscoperto la generosità e l’umiltà di coloro che nella disperazione hanno trovato la forza di unirsi e di collaborare per il benessere della propria terra come l’Associazione SARA e molte altre associazioni di donne che hanno cucinato per noi, hanno allestito i luoghi per offrirci pranzi e cene e si sono riunite per raccontarci dei loro obiettivi e dei loro sogni.

Il laboratorio Balcanico in Bosnia ed Erzegovina nasce per far conoscere a noi giovani studenti la molteplicità dei linguaggi con cui si può scoprire e raccontare la storia, è per questo che il nostro viaggio  ha avuto una forte componente laboratoriale.

Claudia Zini podcaster e Ado Hasanović regista, con i rispettivi team, hanno guidato e coordinato le nostre produzioni laboratoriali durante la nostra permanenza a Srebrenica.

Srebrenica è una piccola città al confine con la Serbia, poco più di 30 anni fa in questo luogo si è perpetrato un genocidio, sono stati uccisi circa 8.000 uomini musulmani in una sola settimana nell’estate del 1995, oggi ricordati dal memoriale di Potočari a pochi chilometri dalla città. 

Siamo stati ospitati in casa delle persone sopravvissute, che hanno preparato i nostri letti e hanno cucinato per noi. 

Abbiamo colto la loro sensibilità, insieme alla loro frustrazione e abbiamo cercato di raccontarla accanto alla loro voglia di rivalsa in un podcast e in un cortometraggio. 

Oggi, a più di un mese dalla conclusione del viaggio, ho raccolto le mie riflessioni e le mie emozioni insieme ai miei compagni di avventura della Scuola Superiore dell’Università di Catania: Alessandra Milone, Luciano Mandolfo, Riccardo Vigneri ed Enrico Fisichella.

La Bosnia-Erzegovina continua ad essere per me una vicina di casa misteriosa e riservata, ma ora scruto più attentamente attraverso le nostre finestre la sua storia, la sua resilienza, forza e disperazione e non posso che continuare a osservare, conoscere e comprendere per dare forza alla consapevolezza che questo viaggio mi ha donato. 

Maria Elena Arrigo, Redazione SSC UniCT

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