23 gennaio 2025 | Ore 20:30
Teatro Metropolitan, Catania
Ripercorriamo le tappe di questo incontro formativo, proposto alle allieve e a allievi del primo anno di triennale e magistrale, attraverso la riflessione liberamente condivisa da Vittoria Gugliotta (Classe delle Scienze umanistiche e sociali).
Cosa ci lascia la straordinaria Lectio magistralis di Umberto Galimberti al Teatro Metropolitan di Catania?
Nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista e tecnocratica del nostro tempo diffonde, l’uomo brancola nel buio e vaga in una terra di nessuno, al di là del divino e dell’umano. Novello Prometeo, egli arranca dietro al continuo progredire della tecnica, scoprendo il vuoto della legge, il sonno della politica e l’impotenza dell’etica. Con queste parole, che suonano come un monito, si potrebbe sintetizzare la lectio magistralis di Umberto Galimberti, dal titolo “L’etica del viandante”, che ha avuto luogo al Teatro Metropolitan di Catania lo scorso 23 gennaio.
Grazie alla Scuola Superiore di Catania, noi allieve e allievi del primo anno abbiamo avuto l’opportunità di assistere a questo evento unico, che ha costituito un’occasione preziosa di arricchimento culturale e di riflessione sulle radici del vuoto esistenziale che permea il nostro presente.
Con la sua demistificante analisi che ha attraversato la storia del pensiero occidentale, il celebre filosofo ha mostrato lucidamente che la tecnica domina il nostro tempo: non tende a uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela la verità, ma agisce semplicemente in nome dell’efficienza, della produttività, della velocizzazione del tempo e della funzionalità. Come ha dimostrato anche la strage della Shoah, l’uomo, funzionario dell’immenso apparato tecnico, ha una percezione sempre minore degli esiti e degli scopi che l’irreversibile sviluppo è in grado di produrre e rimane irretito in quella irresponsabilità individuale che consentirà al totalitarismo della tecnica di procedere indisturbato.
In questo panorama, in cui risulta evidente l’inefficacia dei vecchi modi di agire ed essere, l’unica etica possibile, dichiara Galimberti, è quella che si fa carico della pura processualità: senza meta, come il percorso del viandante, che appartiene alla catena dell’essere, che si prende cura delle ferite del pianeta e costruisce giorno per giorno il senso della propria esistenza, non trovandolo in una verità assoluta, ma nell’incontro con gli altri. Galimberti, dunque, ci ha richiamati con forza alla necessità di una rivoluzione culturale planetaria, che, inserendosi in una visione biocentrica, sia atta ad accogliere la sfida della complessità del reale. Un atto di responsabilità che, abbandonando la logica millenaria del nemico e accogliendo il valore autentico della fratellanza universale, possa promuovere la creazione di un’autentica comunità di destino che superi le frontiere nazionali, nella quale di fatto siano uniti tutti gli individui nell’umanità e l’umanità stessa all’ecosistema della sua patria terrestre. Infatti, solo quando l’uomo avrà preso consapevolezza del suo essere finito, accettandosi in quanto tale, potrà cercare di riportare la tecnica entro i suoi limiti, impegnandosi in un impiego responsabile delle sue potenzialità, affinché si possa evitare di giungere al momento, forse irreversibile, in cui noi uomini ci chiederemo, in preda a un’esasperata e straziante “vergogna prometeica”, “che cosa la tecnica ha fatto, fa e farà di noi, ancor prima che noi possiamo fare qualcosa di lei” (G. Anders).