La razza nei tribunali italiani (dalla legislazione razziale del 1938 ai provvedimenti risarcitori del secondo dopoguerra)
Mercoledì 3 febbraio 2016, ore 20
Aula 0-15, Villa San Saverio
Scuola Superiore di Catania
Classe delle Scienze Umanistiche e Sociali
Relatore: Prof. Giuseppe Speciale
Dipartimento di Giurisprudenza
Università di Catania
ABSTRACT: Quando, qualche anno fa, ho cominciato a studiare la legislazione razziale italiana, le leggi antisemite della fine degli anni Trenta non destavano ancora l’interesse che oggi invece suscitano e che è documentato quasi giornalmente nei numerosi interventi soprattutto di politici, di cui ci dà notizia la stampa.
L’interesse, la curiosità, che muoveva i miei primi passi nella ricerca si fondava sulla convinzione, allora da me solo percepita, oggi in me fermamente radicata, che gli eventi di quegli anni avessero inciso un segno indelebile nella esperienza giuridica del nostro paese. Un segno che finiva per essere uno degli elementi che contribuiva a costituire la nostra identità di italiani e di europei. Se vogliamo che quella identità sia un’identità forte dobbiamo fare i conti con le vicende della legislazione razziale, dobbiamo riflettere serenamente e con passione su quegli eventi, non possiamo far finta di nulla.
Questi argomenti, questi temi destano interesse non solo perché negli ultimi anni sono diventati attuali, anche per le derive totalitarie (e il razzismo è connaturato nelle forme dei totalitarismi) che si affacciano anche in Italia ogni giorno più forti e inquietanti, ma anche per altre ragioni: perché inducono a riflettere sul rapporto tra legge, espressione formalmente legittima della volontà del legislatore, e giustizia, insieme di regole e principi non disponibili da parte di nessun legislatore; perché inducono a riflettere sui cardini non della tolleranza, ma della convivenza, della condivisione; perché, ancora, inducono a riflettere sulla saggezza di alcune soluzioni costituzionali, anche indotte dall’esperienza delle leggi razziali, penso all’art. 113 della Costituzione che afferma che i provvedimenti del potere esecutivo sono sempre soggetti a controllo giurisdizionale.
Il rapporto tra giudici e leggi razziali ci riporta direttamente al periodo compreso tra il 1938 e il 1943. Dopo il 25 luglio del 1943, infatti, i giudici non si occuparono più degli ebrei: non nel meridione d’Italia, dal momento che dal gennaio 1944 un decreto legislativo luogotenenziale (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo nell’ottobre successivo) abrogò la legislazione razziale; neppure nel settentrione della penisola, occupato dall’ex alleato nazista e presidiato dalla Repubblica Sociale Italiana, dato che in quest’area geografica la soluzione del “problema” degli ebrei venne affidata all’autorità di polizia e, più in generale, all’autorità amministrativa, non residuando alcuno spazio di tutela giurisdizionale per gli interessi, e le vite, degli ebrei. In un contesto di-verso, con le leggi razziali il giudice, il giudice della nostra repubblica, dovrà fare i conti, poi, a partire dal 1955, fino ai nostri giorni, per stabilire se, e in che misura, ai cittadini italiani, che subirono atti di violenza in ragione dell’appartenenza alla razza ebraica, spetti il beneficio economico previsto, al ricorrere di determinate condizioni, dalla legislazione risarcitoria.