Leggere Dante: il Purgatorio e la ricerca della libertà
“Per correr miglior acque alza le vele/ omai la navicella del mio ingegno,/ che lascia dietro a sé mar sì crudele;/ e canterò di quel secondo regno/ dove l’umano spirito si purga/ e di salire al ciel diventa degno.”
È l’alba del 10 Aprile del 1300 quando Dante e Virgilio arrivano ai pedi della montagna del Purgatorio, regno introdotto nell’incipit del Canto I sopracitato. Esso in realtà è un luogo non presente nella Bibbia ma concepito dal XII secolo come una via di mezzo tra Inferno e Paradiso. Su come sia nato il Purgatorio in epoca medievale ha condotto la sua ricerca lo studioso Jacques Le Goff, includendo anche l’ipotesi dell’Etna come sede di questo luogo di purificazione.
Le fiamme impressionanti del vulcano infatti, come commenta E. Piazza nel suo libro “Tra l’Etna e Cariddi. La Sicilia nell’immaginario altomedievale”, oltre ad essere associate allo strazio dell’Inferno erano anche legate come immagine alla purificazione delle anime per accedere al regno dei cieli. Il suo libro riporta anche il motivo per il quale Le Goff faccia riferimento alla Sicilia, ovvero la “Vita di Odilone” di Jotsuald, una delle fonti su cui si basò. In essa infatti un eremita racconta a un monaco naufragato “nel bel mezzo del mare che separa la Sicilia da Tessalonica” di luoghi non molto lontani da loro che “emettono con la più grande violenza un fuoco ardente” ed inoltre che “le anime dei peccatori, per un determinato periodo di tempo, vi si purgano tra diversi supplizi”.
Tornando al Canto I, dopo la descrizione astronomica e del paesaggio circostante in quanto vi è stato un passaggio dall’emisfero boreale a quello australe, viene presentato il personaggio centrale del canto. Dante lo descrive così: “vidi presso di me un veglio solo,/ degno di tanta reverenza in vista,/ che più non dee a padre alcun figliuolo./ Lunga la barba e di pel bianco mista/ portava, a’ suoi capelli simigliante,/ de’ quai cadeva al petto doppia lista.” Ad essere delineata, con questa breve descrizione, è la figura di Catone l’Uticense, custode del Purgatorio che inizialmente, in veste del suo ruolo, pone domande incalzanti a Dante e Virgilio credendoli due anime fuggite dall’Inferno. Attraverso le risposte di Virgilio, volte a rassicurarlo e convincerlo a farli passare, viene esplicato il motivo per cui l’anima è posta nel Purgatorio.
“Or ti piaccia gradir la sua venuta”, afferma Virgilio riferendosi al Sommo Poeta, “libertà va cercando, ch’è sì cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta./ Tu ‘l sai, ché non ti fu per lei amara/ in Utica la morte, ove lasciasti/ la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.” In queste terzine infatti viene messo in evidenza un elemento biografico fondamentale di Catone, ovvero l’essersi suicidato. Viene spontaneo chiedersi per quale motivo Dante collochi nel Purgatorio un suicida, avendo riservato per i “violenti contro sé stessi” il secondo girone del VII cerchio nel Canto XIII dell’Inferno.
La risposta la fornisce Virgilio stesso nella terzina precedentemente citata. Catone è morto per la libertà politica. Egli (nato nel 95 a.c. e morto nel 46 a.c.) da un punto di vista storico si colloca nel periodo della guerra civile tra Cesare e Pompeo (49 a.c.). Schieratosi dalla parte di Pompeo, quando questi venne sconfitto, Catone si uccise per non cadere in mani nemiche. Questo gesto venne quindi considerato sia emblema della lotta alla tirannide da parte dei repubblicani sia come simbolo letto in chiave cristiana della libertà dal male. Tra Dante e Catone si instaura un parallelismo in quanto anche il Sommo Poeta cerca la libertà, in questo caso non politica bensì spirituale.
Nella seconda cantica inizia infatti il vero e proprio percorso di purificazione. A sottolineare tale accezione già alla fine del Canto I contribuiscono l’atto di lavarsi il viso e quello di cingersi con un giunco, azioni che rimandano rispettivamente al ripulirsi dal peccato avendo attraversato l’Inferno e all’umiltà necessaria per affrontare tale percorso. Così infatti raccomanda loro Catone rivolgendosi a Virgilio prima di sparire: “Va dunque, e fa che tu costui ricinghe/ d’un giunco schietto e che li lavi ‘l viso,/ sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;/ ché non si converria, l’occhio sorpriso/ d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo/ ministro, ch’è di quei di paradiso.”
Fonte per l’approfondimento sul legame tra Etna e Purgatorio: E. Piazza, Tra l’Etna e Cariddi. La Sicilia nell’immaginario altomedievale, Mario Adda, Bari, 2019.