Percorsi_SSC: intervista a Michele Versaci

Eccoci con il secondo appuntamento di Percorsi_SSC, la rubrica dedicata agli Alumni. Abbiamo intervistato Michele Versaci, laureto in Ingegneria Edile – Architettura. Michele oggi è architetto senior presso Park Associati e ha collaborato al progetto del Waterfront di Catania, selezionato nell’ambito della mostra “Comunità resilienti” della Biennale di Venezia di Architettura.

1."Catania guarda il mare" è il progetto che ridisegna il lungomare di Catania restituendole il suo legame originario con l'acqua: quali sono stati i drivers del progetto? E che impatto immagini che avrà sul territorio?

A Catania l’acqua è invisibile, scorre sotto terra e il mare non si percepisce. Quando riappare, lo fa in modo disastroso come dimostrano le alluvioni degli ultimi anni che trasformano Via Etnea un fiume in piena. Per immaginare la Catania del futuro è stato quindi naturale porre l'acqua come fulcro del progetto, declinata secondo tre grandi temi: risorsa, resilienza e identità.

Risorsa perché recuperare e trasformare i grandi edifici esistenti sul waterfront consentirebbe di innalzare i valori immobiliari soprattutto nella zona sud e di aumentare le potenzialità turistiche legate alla fruizione del mare, ma anche perché è previsto di sfruttare l’energia al moto ondoso e coinvolgere stakeholders legati all’innovazione (università, startups, Autorità Portuale, Capitaneria etc). Resilienza perché il progetto prevede la creazione di infrastrutture atte ad attutire le calamità ed a trasformare in opportunità i rischi idraulici e sismici, che oggi pongono la città in una condizione di emergenza permanente. Infine, identità perché il progetto prevede l’accessibilità al mare in ogni punto possibile, generando nuove forme dell'acqua, aumentandone la percezione e richiamando la memoria perduta, come la presenza dell'acqua sotto gli Archi della Marina. 

Il progetto di Masterplan si confronta con una lunga proiezione temporale di sviluppo della città e con un ambizioso programma integrato di trasformazioni: se esso verrà portato avanti dalle autorità competenti (Comune di Catania e Autorità Portuale) ci ritroveremo una Catania più aperta, più viva e più bella.

2. Qual è il tuo approccio all'architettura e come su questo hanno influito le esperienze che hai fatto in ambito internazionale?

Oggi al progettista è affidato un compito alto: aiutare la collettività a rispondere alle importanti sfide di un futuro che è ormai prossimo. Cambiamento climatico, migrazioni di massa, calamità naturali, innovazioni tecnologiche e mobilità sono temi che, soprattutto in ambito internazionale, occupano sempre più spazio nei corsi universitari e nel dibattito architettonico. Queste sfide devono essere affrontate ponendo particolare attenzione ai temi della sostenibilità, quali il recupero e il riuso di edifici esistenti, la limitazione di consumo di suolo e l'utilizzo di risorse rinnovabili, la considerazione già in fase di progetto del fine-vita di un edificio.

L'esperienza fatta in Svizzera mi ha insegnato che la lettura e l'analisi del contesto dove si interviene - sia che si tratti di un appartamento o di un masterplan urbanistico - sono aspetti fondamentali per intervenire in modo corretto, sia nei confronti della cittadinanza che rispetto all’ambiente. Proprio la relazione tra essere umano e ambiente naturale è uno degli aspetti che più mi affascina e che ho affrontato nel progetto del Bivacco Corradini, sviluppato insieme al collega e amico Andrea Cassi. Il primo atto di mediazione tra l'essere umano e la natura è l'atto di vestirsi. Proprio nel gesto di proteggersi nasce l'architettura: la realizzazione di un ambiente protetto è il primo dispositivo spaziale. In montagna questo discorso è portato all'estremo: le costruzioni dei rifugi o dei bivacchi sono paradigmatiche dell'atto di costruire un dispositivo di mediazione tra l'uomo e la natura.

Infine, il mio background ibrido, a cavallo tra ingegneria e architettura, mi spinge a porre particolare attenzione nella conoscenza e nella scelta dei materiali, non solo per motivi estetici ma anche per ragioni di impronta ecologica e possibilità di riciclo.

3. In principio era la Scuola Superiore di Catania: cosa porti con te della tua esperienza alla SSC?

Se ripenso agli anni della SSC, la prima cosa che mi viene in mente è la vita collegiale: l'atmosfera di contaminazione e l'esposizione a continui stimoli che la residenza permette di avere hanno rappresentato per me un'opportunità unica per crescere e imparare. Senza dubbio è qui dove ho fatto davvero mio il concetto di “miglioramento continuo”. La propensione alla ricerca e alla sperimentazione, punti fermi della formazione alla SSC, mi hanno permesso di sviluppare un progetto innovativo di tesi di diploma in un'università prestigiosa come l’ETH di Zurigo: il confronto con un ambiente così stimolante ha posto solide basi per il prosieguo della mia vita lavorativa.

4. E, infine, quale suggerimento daresti alle future matricole?

Suggerirei di godersi l'avventura che stanno per iniziare, senza paura di esplorare l'ignoto e con la curiosità che solo una matricola può avere. L’ha scritto in modo meraviglioso il poeta greco Kavafis nella sua Itaca:  
 
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze. [...]
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?