Vivere le passioni e farne un lavoro: intervista a Samuele Tomasi
Continuano gli appuntamenti legati alla rubrica degli Allievi e delle Allieve, Percorsi SSC. Oggi siamo in compagnia di Samuele Tomasi, Alumnus della Scuola Superiore di Catania, attualmente Notaio in Militello in Val di Catania (con uno studio secondario a Catania). Ha svolto precedentemente (per 5 anni) la professione di avvocato a Catania, ma ancora oggi, Samuele che ha conseguito un Dottorato di ricerca in Diritto Privato, continua a trattenersi nel mondo della ricerca: è infatti assistente di Diritto Civile presso la cattedra del professor Di Rosa, suo tutor durante gli anni di alunnato alla Scuola.
Rispetto al ruolo del diritto e - in generale - a quello della giurisprudenza, pensi che avresti avuto più ragioni di scegliere Giurisprudenza oggi o 15 anni fa?
Io credo che uno degli aspetti più affascinanti del Diritto in generale, e di quello civile in particolare, sia il fatto che non si finisca mai di imparare, vuoi perchè le tue idee cambiano dopo aver approfondito certi temi, vuoi perché il legislatore promulga nuove leggi, vuoi perché la giurisprudenza fornisce nuove interpretazioni.
Oggi, rispetto a 15 anni fa, ci sono ancora più ragioni per fare questa scelta perchè è la facoltà giusta se ci si vuole misurare con la realtà che ci circonda, avendo anche a disposizione tanti altri campi che prima erano sconosciuti e che adesso, con il passare del tempo, stanno diventando di maggiore rilievo.
Se dovessi scegliere nuovamente un indirizzo di studi, nel prendere questa importante decisione, cosa pensi potrebbe avvicinarti all’Università degli Studi di Catania?
Ripensando a quei momenti, due cose mi hanno spinto a scegliere Catania nel lontano 2002:
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la facoltà che sceglievo era, ed è ancora oggi, tra le migliori in Italia (lo testimonia la circostanza che qualche anno fa ha ottenuto il riconoscimento come Centro di Eccellenza);
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la mia scelta, inoltre, era strettamente legata al concorso di ammissione per far parte della Scuola Superiore di Catania.
Ho avuto poi la buona sorte di entrare a far parte della SSC e a quel punto, a maggior ragione, la mia decisione è stata, anche col senno di poi, quella giusta. Oggi rifarei esattamente quella stessa scelta. Del resto alla fine del percorso si hanno tutti gli strumenti per fare bene e a quel punto, se si vuole, si può andare ovunque!
In seguito alla tua brillante carriera da giurista hai deciso di dedicarti alla carriera notarile, cosa ti ha spinto ad imboccare questa strada e perché proprio a Catania?
La scelta del notariato affonda le sue radici nella notte dei tempi… più precisamente, da bambino, accompagnai i miei genitori alla stipula di un atto e restai affascinato dallo studio, dai libri e dall’attività di quel signore che scriveva e leggeva gli atti. Con il passare degli anni mi rendevo conto che il mio percorso di studi fosse quello in Legge: così ho avuto modo di approfondire e capire che fosse la professione che faceva per me.
Quanto all’idea di restare a Catania, anche essa affonda le radici in una mia profonda convinzione: fare bene e farlo nel proprio territorio. A volte è più facile andare fuori, in contesti meno complicati, ma personalmente la vivrei come una sconfitta, un’aprioristica rinuncia a provarci. E se qualche risultato arriva, allora sono certo che c’è più soddisfazione a vederlo realizzato lì dove ti sei formato.
Nel tuo percorso di crescita e formazione universitaria in che modo la Scuola Superiore di Catania ha contribuito? Quali competenze ti ha maggiormente stimolato?
Sono solito dire che per me la SSC è stata la svolta. In primis, dal punto di vista umano, mi ha permesso di conoscere persone eccezionali, studenti eccellenti, amici fidati, sui quali poter contare e con i quali supportarsi a vicenda facendoci sprone l’un l’altro. Trovarsi in un ambiente stimolante spesso fa la differenza e ti dà quella marcia in più.
Ho potuto arricchire la mia formazione giuridica molto di più di quanto avrei potuto fare se avessi frequentato soltanto la Facoltà. Mi ha messo in contatto con diverse persone, docenti, professionisti che con la loro esperienza hanno indirizzato in maniera corretta le mie scelte valorizzando le mie capacità.
Immaginando di star parlando di fronte ad un uditorio di studenti, cosa consiglieresti loro di fare rispetto al mondo universitario e a quello delle realtà di eccellenza come la SSC?
Voglio rispondere citando “La trappola del talento”, un libro di Colvin, in cui l’autore si chiede come si fa a diventare “numeri uno”, giungendo alla conclusione che chi ci riesce non lo fa perché ha talento. Il talento non è tutto, anzi non è niente senza un paio di altre caratteristiche che si chiamano passione e impegno. Ricordo a tal proposito anche altri due libri:
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“Il bar delle grandi speranze” (J. R. Moehringer) racconta la storia, autobiografica, di un giovane che voleva scrivere ma non sapeva farlo e che con un colpo di fortuna fu preso in prova al New York Times e subito bocciato. Tuttavia, pur disperato e pressoché alcolizzato, non ha voluto mai mollare fino a vincere il premio Pulitzer e scalare le classifiche di vendita.
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“Open” (A. Agassi): costretto ad allenarsi fin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo, ovvero l'odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l'autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua carriera sportiva.
Non so se ci sia una morale valida per tutti in queste storie, ma possiamo trovare una risposta alla nostra precedente domanda: “come si fa a diventare numeri uno?”. Per definizione, soltanto pochissimi diventano numeri uno e, per avere una vita piena e felice, non è neppure necessario diventarlo. Però una cosa è certa: non lo diventano per il talento, o non solo per il talento, ma soprattutto grazie alla fatica che fanno, alle rinunce, alla determinazione e all’ostinazione.
La SSC per me è stata proprio una palestra di tutto questo, un ambiente stimolante per fare di più, un catalizzatore di energie positive che, insieme al supporto di tutto il contesto, mi ha condotto a questi risultati, rappresentando oggi uno dei pochi esempi di meritocrazia all’interno della quale si permette a dei giovani volenterosi di poter raggiungere i propri obiettivi.