Leggere Dante: a proposito dei riferimenti bizantini del canto VI del Paradiso
“Se si legge la Commedia con l’attenzione che richiede, ciò che si ottiene alla fine non sono soltanto l’emozione e il piacere dati dal racconto, un racconto che parla ancora di noi in molti modi inaspettati. […] Si ottengono anche l’emozione e il piacere dati dall’imparare: sono due millenni di storia e di libri filtrati dall’intelligenza di Dante – la storia che lui conosceva, i libri che aveva letto, e la sua interpretazione dell’una e degli altri.”
Questo piccolo estratto appartiene ad un articolo pubblicato sul settimanale “Internazionale” in cui Claudio Giunta, insegnante e saggista, spiega e argomenta “le ragioni per cui ha ancora senso leggere, oggi, la Commedia”. Approfondirla d’altronde permette al lettore di instaurare con l’autore un dialogo che supera le barriere del tempo e dello spazio, di compiere un viaggio non solo volto alla scoperta di se stesso ma anche di aspetti della cultura medievale, di miti, eventi e personaggi storici.
Tra i tanti riferimenti storici del suo tempo e precedenti ad esso, particolarmente interessante è il rimando alla storia e alla cultura bizantina all’interno del Canto VI del Paradiso. Il protagonista che Dante colloca nel cielo di Mercurio, tra le anime che fecero del bene per conseguire gloria terrena, è Giustiniano. L’imperatore infatti è il modello del sovrano ideale, ovvero cristiano e legato all’antico Impero romano. Queste due caratteristiche, per quanto possano sembrare incompatibili, non si escludono a vicenda in quanto Dante attribuisce alla nascita dell’Impero romano un significato provvidenziale. Secondo la sua concezione politica e religiosa infatti Roma è stata scelta da Dio come sede del Papa e dell’Imperatore, le due fondamentali guide dell’umanità, rispettivamente dal punto di vista spirituale e terreno. Per comprendere perché Giustiniano incarna queste due qualità bisogna fare riferimento alla cultura bizantina. Tutto ha origine dalla decisione di Costantino, il primo Imperatore cristiano, di spostare la capitale dell’Impero a Bisanzio. Così l’11 maggio del 330 venne inaugurata Costantinopoli, la “nuova Roma”. Gli abitanti di Bisanzio dunque si consideravano Romani e così continuarono a definirsi per tutta la durata dell’Impero.
La concezione politica che ne derivò perciò consisteva nella convinzione che l’Impero bizantino fosse il legittimo continuatore dell’Impero romano e che Dio avesse incluso nel suo disegno divino i cristiani come custodi della sua volontà. Se quindi l’Imperatore non poteva più essere considerato divino, in quel nuovo contesto invece era circondato da un’aura di sacralità in quanto protettore della Chiesa, tredicesimo apostolo, rappresentante di Dio sulla Terra. Tale ideologia politico – religiosa esplica in particolare ciò che motivò la redazione del “Corpus iuris civilis” e le azioni militari di Giustiniano che Dante cita. “Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, /a Dio per grazia piacque di spirarmi/ l’alto lavoro, e tutto ‘n lui mi diedi;/ e al mio Belisar commendai l’armi, / cui la destra del ciel fu sì congiunta, / che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.”
Nella prima di queste due terzine Giustiniano afferma che gli fu affidato da Dio il compito di riordinare le leggi dell’Impero romano, ciò che chiama “l’alto lavoro”, dopo che si fu riconciliato con la Chiesa. Quest’ultimo riferimento è legato alla credenza non accertata degli storici medievali, riportata da Dante nella presentazione di Giustiniano all’inizio del canto, che l’Imperatore avesse aderito al monofisismo: un’eresia, condannata nel 451 con il Concilio di Calcedonia, che attribuiva a Cristo solo la natura divina. Nella seconda terzina, sopra citata, invece la parola “Belisar” rimanda a Belisario, uno dei due generali che condussero la famosa guerra greco-gotica, una delle battaglie volte a riconquistare e unire i territori un tempo appartenuti all’Impero romano e di cui i bizantini si sentivano i legittimi proprietari. Giustiniano perciò non è solo il continuatore dell’Impero romano ma anche colui che ne ha riunito i territori e le leggi, dunque è il più appropriato per essere il portavoce del messaggio che vuole trasmettere Dante in questo canto. Il Sommo poeta attraverso le parole dell’Imperatore, cui fa ripercorrere la storia di Roma a partire da Enea fino a Carlo Magno, infatti si scaglia contro i Guelfi e i Ghibellini, gli uni perché oppongono all’Impero gli Angioini, e gli altri poiché se ne servono per i propri interessi.
Elena Migliore
Allieva SSC, studentessa del C.d.L. in Beni culturali